Il mondo leggero di MariaLuisa Tadei

Catalogo Galleria Atelier Siena 1997

C’è il richiamo evidente ad una precisa tradizione dell’arte italiana di questo dopoguerra, nelle opere di MariaLuisa Tadei e si tratta dell’ “arte povera”. Ma forse il fatto è ovvio. L’arte del nostro paese negli ultimi anni ha preso due strade molto ben individuabili (ferma restando l’esistenza di tanti artisti singolari e originali): da un lato lo spirito vagamente “pop”, concettuale, modellistico che appunto rinvia all’originario gruppo di Torino e ai suoi compagni di strada degli anni Sessanta e dall’altro il ritorno alla “pittura” delle tendenze più centro italiane della Trans – avanguardia e di altri gruppi consimili. MariaLuisa Tadei appartiene certamente al primo filone (avendo, fra l’altro, studiato in Germania con Jannis Kounellis), ma questa affermazione è appunto scontata.Nelle opere della Tadei ci sono infatti degli elementi del tutto originali, che cominciano a consentirle di distinguersi, di emergere, di essere riconoscibile nel mezzo della numerosa offerta esistente oggi fra le giovani promesse dell’arte italiana. Fra questi elementi collocherei nell’ordine: lo studio del materiale; la variazione astratta di motivi figurativi già appartenenti all’arte moderna; il tema della leggerezza.

Cominciamo dal primo. Nella serie che qui presentiamo, si vede con chiarezza la ricerca degli effetti dati soprattutto da un materiale principale, il filo di ferro, e da altri collaterali, che vanno dalle piume, alla rete, alla plastica leggera. Il filo è il motivo di base, un po’ come la melodia di uno spartito: onda, capanna, cupola dal punto di vista figurativo, ma cono, parabola, elisse dal punto di vista strutturale. Il resto sono “coloriture” o “accidenti”: nuvolette, oggetti galleggianti nel vuoto, cromatismi. Insomma: scoperto un motivo fondamentale, una unità, Tadei ne produce tutte le varianti possibili. Come dicono i linguisti: dal paradigma (fissato molto razionalmente) al sintagma (che produrrà, fra l’altro, tanti possibili testi).Già, le varianti. Ho appena detto che si tratta di una creazione strutturale: il paradigma (la lista degli elementi primari) da una parte, il sintagma (le loro possibili combinazioni) dall’altro. Ma queste combinazioni portano, semplificate, ridotte in astratto, la memoria di qualche figura fortemente presente nell’arte moderna. L’onda, per esempio, è il tema che comincia col giapponese Hokusai nella pittura figurativa, e si tramanda anche nell’arte occidentale contemporanea. Tadei riesce a darcene qui la versione più secca ed essenziale, ma straordinariamente efficace, proprio con il suo leggerissimo filo di ferro arcuato nella tensione unica e perfettamente identificabile dell’onda oceanica. Ma c’è naturalmente anche l’igloo; riconducibile a Mario Merz, del quale ancora si produce la riduzione essenziale. E poi ci sono le nuvole di Magritte, già riviste in versione tridimensionale e installatoria dall’ultimo Andy Warhol. Oppure, le linee degli archi molli già messe in evidenza dal post-informale Crippa, o scarabocchiate da un Twombly. Questa, però, è soltanto, come dicono gli iconologi, “trasmigrazione di motivi”: colta, raffinata, strutturante, testimone di lavoro e curiosità da parte dell’artista. Ma poi c’è il senso vero e proprio delle opere di MariaLuisa Tadei, quale si evince facilmente proprio dalle note appena rammentate. E questo senso profondo consiste nella ricerca della leggerezza. La riduzione all’essenziale, la rinuncia al cromatismo se non in misura appena accennata, la ricerca di linee piuttosto che di volumi (anzi: piani e volumi si creano proprio attraverso l’intreccio delle linee) sono tutti mezzi che portano a percepire le opere della Tadei come “sospese”, nello spazio, nell’aria, nel vuoto. E tutti i verbi con cui viene in mente di descriverle sono del tipo: galleggiare, sospendere, navigare, librarsi, volteggiare…

E’ notevole, allora, il risultato “semi-simbolico” di questo lavoro. Da una parte c’è una costruzione di codice: elementi dell’espressione che si combinano con elementi di contenuti, e che nell’insieme rinviano a motivi precedenti. Ma tutto diventa a sua volta espressione per categorie di contenuto più profondo, quali “leggero/pesante”, “trasparente/opaco”, “sospeso/grave”, eccetera. E questa nuova astrattezza (ecco il merito della Tadei) non è difficile, concettosa ma fisicamente percepibile fin dal primo momento. La leggerezza ci invade, come idea e programma estetico.