Marco Dolfin

Quando si accostano più artisti per una stessa esposizione risulta sempre difficile generare un dialogo vero che metta in comunicazione opere dalle molteplici poetiche secondo un coerente fil rouge. Eppure nel caso di questa mostra, i due protagonisti, Marialuisa Tadei e Qikai Guo, così lontani tra loro per formazione, carriera, età, nazionalità, riescono l’uno nella scultura e l’altro nella pittura a comporre una sinfonia espositiva assolutamente coesa e consonante, dove l’anima di ogni opera porta il visitatore a seguire un unico ed emozionante flusso spirituale di eterea bellezza.

Ormai da anni il panorama artistico contemporaneo della scultura appare dominato ancora in prevalenza dalle propaggini dell’arte povera, dove uno straccio o un ramo secco possono essere idealmente considerati installazione-scultura. Mentre frequentando blasonate gallerie d’arte ci si può poi accorgere anche di un imperante gusto kitsch in cui, attraverso infiniti multipli riprodotti a stampo, l’appariscente e vana forma assurge ad un banale, se non nullo contenuto - che spesso, occorre rivelarlo, si limita solo a quello puramente commerciale e mercificatorio. Sembra così sempre più raro trovare scultori che si esprimano con grande maestria tecnica e attraverso un sentito ed autentico spirito indagatore, eppure, scandagliando bene, coloro che scolpiscono “per forza di levare”, usando la michelangiolesca definizione, esistono ancora.

Sicuramente tra questi c’è Marialuisa Tadei che si è affermata sulla scena internazionale attraverso le sue sempre eleganti sculture, riportando in auge l’assoluta nobiltà, fisica e spirituale, della materia. Le sue opere presenti in questa mostra infatti sono realizzate in ricercate e pregiate tipologie di marmo: verde Guatemala, sodalite blu, bianco di Carrara, onice bianco, alabastro, rosa Portogallo e rosso Francia. La materia viene levigata e modellata finemente dando vita a forme sinuose ed astratte che nel loro dinamico incedere rimandano a naturali ed armoniche sagome, in una purissima sintesi che può evocare per certi versi l’anatomia umana e dall’altra la massima perfezione dell’elemento naturale roccioso.

Il modello di riferimento formale o meglio la fonte d’ispirazione per Tadei non è tanto quella di un primitivismo plastico alla Henry Moore o alla Hans Arp, ma è in definitiva l’opera dell’Artista primigenio, ossia di colui che ha “scolpito” l’uomo e che ha plasmato la natura: Dio. Se come af-fermava con sentimento panteistico il filosofo seicentesco Baruch Spinoza: «Deus sive Natura» (letteralmente “Dio ossia la Natura”), allora in tutte le forme del creato è possibile trovare una parte tangibile della sostanza divina. Ecco allora l’intensa carica mistica che evocano le sculture della nostra artista, volumi che sembrano librarsi oltre la forza di gravità e superficie perfettamente lisce e dalle molteplici cremie che riescono mirabilmente a riflettere vividi bagliori luminosi. Una luce che come indica l’artista stessa ha un sublime valore spirituale poiché diventa il tramite per avvicinare l’uomo a Dio, in quanto essenza del divino stesso. Opere che andando oltre l’essenza fisica della materia diventano toccanti epifanie scultoree che illuminano l’animo dello spettatore.

La sentita dimensione spirituale che emerge dalle sculture esposte trova però una sua ideale prosecuzione in pittura nelle opere del giovane artista cinese Qikai Guo, originario del Kunming e ora specializzatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. L’artista affetto da una sordità mo-derata che lo ha portato ad inevitabili difficoltà comunicative - accentuate poi nell’apprendimento della nuova lingua - riesce invece ad esprimere tutta la sua interiorità senza alcuna esitazione e con purezza commovente nei suoi dipinti. Si tratta di un mondo evanescente, surreale, fatto di misteriose evocazioni figurative sospese in un’impalpabile dimensione eterea.

Le figure sono anime che si librano nello spazio immaginario dell’inconscio, come vediamo ad esempio in Anima che cammina, in cui una luminescente figura, che affiora direttamente da un ricordo d’infanzia di Qikai, veste i costumi tradizionali cinesi, con il tipico cappello conico, e si muove tra oscure presenze animali ed umane. Una di queste figure, la donna seduta in basso a destra è rappresentazione allegorica dell’Italia, una figura primitiveggiante che ricorda nel suo sintetico profilo quelle di Massimo Campigli e che sta dunque a testimoniare simbolicamente l’incontro tra i due distanti mondi, tra l’oriente e l’occidente ed ancora tra il vissuto passato e il presente dell’artista.

Talvolta le visioni possono materializzarsi anche in una dimensione più puramente astratta, priva di diretti riferimenti alla figurazione, come nel caso della grande tela Etereo, una composizione ritmata da fulgenti scintillii luminosi, da scure nubi in movimento che lasciano spazio ad epifanici e rassicuranti bagliori ultraterreni. Questa è una rappresentazione metaforica dello stato d’animo dell’artista nei momenti più bui, in cui egli va alla ricerca della luce interiore per arrivare al proprio conforto esistenziale, come egli stesso racconta attraverso queste semplici e allo stesso tempo illuminanti parole:

Il silenzio e l’oscurità sono un mondo misterioso e spaventoso al cui interno il mio disagio aumenta, espandendosi in tutto il corpo. Se voglio che la paura scompaia, la luce del sole che ho dentro deve diventare sempre più abbagliante. Quando il mio cuore si acquieta e riesco a percepirne le pulsioni, a scandire i respiri, in questo preciso istante scopro che la mia vita splende.

Un altro soggetto ricorrente poi che troviamo nei dipinti e nelle incisioni dell’artista è quello del mondo animale, sublimato sempre ad apparizioni enigmatiche e surreali: giraffe, rane, cani, farfalle, camaleonti e gufi. Una sorta di bestiario allegorico che rimanda ancora una volta alle paure e alle gioie dell’artista, stati d’animo che come in un’arcaica e magica metamorfosi prendono vita sotto forma di presenze animali.

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