Intervista a Marialuisa Tadei
Valerio Dehò

Da quando la cultura si è staccata dal culto e si è fatta culto di se stessa, non è altro che apostasia.
Thomas Mann, Doktor Faustus, 1947

Non vi è cultura che sia comparsa o si sia sviluppata se non insieme alla religione.
T.S. Eliot, Appunti per una definizione di cultura, 1948

Si può dire che, come artista, nasci alla fine degli anni Ottanta, con delle sculture in filo di ferro che sono, nello stesso tempo, opere plastiche ma anche lavori di grande segno e leggerezza. Come mai hai scelto la scultura per le tue prime opere artisticamente autonome dopo gli studi accademici e universitari?
Perché amo la sintesi e il segno. In quel periodo il filo di ferro sintetizzava bene le mie idee. E poi nasco come pittrice nel senso che ho studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, quindi il segno e il disegno sono sempre state delle forme di espressione usate da quando sono molto piccola.

Quali sono gli artisti e i maestri a cui ti senti più vicina?
Giotto, Cimabue, Beato Angelico, Simone Martini, Domenico Ghirlandaio e Piero della Francesca per il senso di Assoluto che riescono a esprimere e per la spiritualità che emanano i volti nei loro dipinti. Mi sento anche vicina a Giorgio De Chirico, Max Ernst, Antoni Gaudì, Olafur Eliasson, Anish Kapoor e altri, non posso nominarli tutti per questione di spazio. Diciamo che in genere mi sento vicina a quegli artisti nelle cui opere l’elemento simbolico e spirituale è presente.

È vero anche che nella tua poetica la “leggerezza” gioca un ruolo determinante. Penso a Equilibri (1995-96) e anche a La grande ciglia (1997), che è quasi un mobile calderiano in versione neo pop ma nel contempo diventa anche un’installazione, un’opera che assorbe interamente l’attenzione dell’osservatore. Con le mie opere cerco di creare una nuova versione dello spazio. La gente di solito si sente stupita in uno spazio rigenerato, quasi non se lo aspetta.

Sembra anche che l’atto del guardare sia per te fondamentale. L’occhio poi - in particolare l’iride del tuo occhio - diventa protagonista di una serie come Oculus Dei (1998-2008). L’occhio ha un valore simbolico fortissimo, è la rappresentazione ingenua di Dio ed è non solo la sorgente del guardare ma anche una porta per entrare dentro le persone, per avvicinarsi al loro mondo. Qual è il valore che gli attribuisci?
L’arte, cioè la scultura e le installazioni, è una forma che appartiene alla serie del visuale, e dunque l’occhio è l’organo che ci permette di vedere il mondo e l’arte. Fin dagli studi in Accademia, se non ancora da prima, intorno al 1983-84, sono stata interessata alle connessioni tra microcosmo e macrocosmo, tra la natura e il corpo umano, come si può del resto vedere dalle mie prime esperienze con l’incisione o dai miei primi dipinti. Nel 1994 ho avuto un terribile incidente, che mi ha costretta a un lungo ricovero in ospedale. Da questa dura esperienza ho però tratto la fluorangiografia della mia iride e ho iniziato a lavorare su questa immagine, riscoprendo quanto l’occhio sia come un piccolo microcosmo. Così ho iniziato a realizzare le serie Oculus Dei, Divini Vultus (2000) e Intra me (2000), tutte opere legate all’occhio, compresa + (2000-2001), la grande croce di vetro.

Poi, in un certo senso, hai espanso queste acquisizioni, queste idee, e le hai fatte diventare qualcosa di diverso, un vero e proprio macrocosmo. È da queste opere che sono nati i veri e propri corpi celesti di Pianeti oculari (2002)?
Sono interessata ai rapporti tra astronomia e biologia e il corpo umano. Mi è sembrato naturale allargare questa esperienza personale, che era diventata un ciclo di lavori, e proiettarla nell’infinito.

Collocherei il tuo lavoro in quella ricerca post-concettuale emersa negli anni Novanta con artisti come, ad esempio, Giovanni Rizzoli o Gianni Caravaggio, i quali sono andati verso un nomadismo linguistico e una ricerca di contenuti che allontanassero l’idea di un’arte come effimero, ma in cui l’opera e lo stupore per la forma avessero un ruolo importante. Mi sembra che la tua ricerca formale recuperi anche un’intensità del “fare arte”, che torna a coinvolgere valori fondanti della nostra cultura. È così?
Spero di essere vicina, per scelte e modo di lavorare, a quegli artisti anche della mia generazione che vogliono dare forza e profondità all’essere artisti e creatori di opere d’arte. Considero l’arte una ricerca di nuovi linguaggi e anche un modo di relazionare l’uomo a Dio.

Utilizzando tecniche diverse, sembra proprio che tu cerchi sempre la forma e i materiali adatti per esprimere i tuoi concetti. È così?
Di solito sì. Dopo aver elaborato un’idea, cerco il materiale più adatto per realizzarla, ma a volte idea e materiale vanno di pari passo, nel senso che molte volte ho dovuto modificare leggermente la forma dell’opera a seconda delle caratteristiche del materiale. Non ci sono delle regole precise nel mio modo di creare. Di solito un’idea nasce da un incontro tra la mia interiorità e il mondo esterno, se mi stimola; dall’“estasi della visione”, come dice Donald Kuspit quando parla del mio lavoro.

Ma forse l’occhio è anche l’organo che si collega direttamente al pensiero. I tuoi cervelli in bronzo o in acciaio, raccolti in un armadio-classificatore o liberi di vagare nello spazio, sono però simboli di una società che nega il pensiero, che appiattisce tutto, che annulla le personalità e le differenze.
È per questo che li ho immersi nell’olio, in un contenitore di vetro, così come questa società materialista cerca di fare con noi: ingabbiandoci e appiattendoci con proposte false e superficiali, cerca di tenerci sotto controllo, e le persone che escono dagli schemi vengono tagliate fuori. Succede la stessa cosa nel sistema dell’arte, fatto ormai di mode banali. Io ho scelto di fare l’artista perché, oltre a essere nata con particolari doni e sensibilità, per grazia di Dio, svolgo un lavoro che mi lascia libera, e non permetterò a nessuno di togliermi questa libertà.

L’uso che fai del mosaico, o la “traduzione”, per così dire, di un’opera attraverso tecniche diverse, mi sembra una ricerca veramente unica. Cerchi, in questo modo, un tuo linguaggio o stai inseguendo una tua specifica forma espressiva e, nel contempo, una comunicazione totale con il pubblico?
Mi interessa il mosaico perché richiama i pixel elettronici: le tessere sono quasi la predizione di un modo futuro - cioè attuale - di comunicare il significato. È una tecnica molto antica, e poi la luce che emana è formidabile, cambia a seconda dell’ora del giorno e della notte. È una tecnica che fa da ponte tra l’antico e il contemporaneo.

Ti sei anche dedicata molto al tema della donna, come ideale di creazione e di progresso. Qual è il senso della grande opera pubblica che hai realizzato l’anno scorso Donna dal futuro (2006-2009)?
Ho vinto un concorso internazionale di arte pubblica negli Stati Uniti, che prevedeva la realizzazione di una scultura da collocare alle porte di una città della Florida. È una donna incinta, è un simbolo della maternità, quindi un elogio alla procreazione. La vita è la creazione più completa e assoluta che conosca, l’immaginazione è il veicolo della mia sensibilità, al di là dello spazio e del tempo. L’essenza del mio lavoro risiede nel tentativo di cogliere l’invisibile, ricercare i segni di un mondo che non appare, e di cui tuttavia rimane in me la nostalgia.

Ritieni che religiosità e spiritualità possano andare d’accordo nella società contemporanea?
Sì, a patto che ogni religione sia basata sull’Amore e sul rispetto reciproco, e non su interessi di potere camuffati sotto il termine “religione”.

L’opera che presenti alla 53ma Biennale di Venezia - La Sapienza Creatrice (2006-2009) - è, da un lato, una citazione biblica, dall’altro mi sembra voglia aprire a una conoscenza che abbia un valore anche antropologico, e che possa riguardare tutti, credenti e non credenti.
Quando penso a questa opera, mi viene in mente il capitolo 8 (versetto 22-23-30-31) del Libro dei Proverbi:

Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin da allora. Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra. […] allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante, dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.
Queste parole sono così belle e vere che sono rivolte a tutti, cioè alle persone che hanno conosciuto l’Amore di Dio e a quelle che non l’hanno conosciuto. Dio ci ama, ed è per questo che ci ha lasciati liberi anche di sbagliare. Il più bravo architetto-artista è, e sarà sempre e solo, Dio. Io, come sua figlia, non faccio altro che ricercare e seguire le sue tracce. Per questioni di tempo, presenterò una maquette dell’opera La Sapienza Creatrice, la versione più grande è ancora in fase di costruzione ed è destinata alla Cass Sculpture Foundation di Londra. Alla Biennale presenterò anche l’installazione Passaggio alla Luce (2009), che allude al Passaggio dell’uomo dalla condizione terrestre, scandita dal tempo, alla Luce Eterna. Ci sarà anche un’opera intitolata Waterfall (2009), un dipanarsi di fili di plastica dai colori sgargianti con cui proseguo nella mia esplorazione di un’estetica intensa e complessa.

La simbologia della croce è per te importante. Non hai timore nel confrontarti con forme simboliche così importanti e sovracodificate?
Mi auguro che la mia arte possa servire agli uomini ad avvicinarsi a Dio, alla dimensione dell’Assoluto e dell’infinito, al di là dello spazio e del tempo. Viviamo in un periodo di confusione spirituale; il nostro pianeta è ammalato spiritualmente, e in questo particolare clima sociale è meglio essere chiari. Le informazioni divulgate dai mass media sono spesso ambigue e false, e anche il sistema dell’arte è soggiogato da logiche di potere politico. La grande tradizione che noi artisti italiani abbiamo ereditato ci dà una marcia in più, perché penso che solo partendo e studiando la tradizione possiamo creare linguaggi nuovi. L’arte è un modo per metterci in contatto con il nostro inconscio. Quando avevo sette anni volevo inventare una macchina che riproducesse le immagini che durante la notte ci appaiono in sogno. Così ho iniziato a disegnarle e a dipingere; uso le matite colorate fin dalla primissima infanzia. Amo la libertà, l’amore e la vera Arte, quindi seguo la mia strada, anche se a volte non è per niente facile. A proposito di amore: Gesù Cristo, che ha accettato di morire sulla croce per salvare tutta l’umanità, credo fermamente che sia l’unica strada da seguire. Lui ci ha amato e continua ad amarci più di tutti, quindi perché non contraccambiare questo suo Amore?

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