Francesca Brandes

La donna che cattura i sogni

Marialuisa Tadei è un’artista risoluta, come la definirebbe Martin Heidegger. Fin da piccola, il suo obiettivo era catturare i sogni e restituirli in forma concreta: dalle sculture marmoree all’uso psichedelico delle resine epossidiche, dal ricamo al mosaico prezioso, ancor oggi ogni tecnica è valida per ottenere il risultato. Un mondo altro, concepibile, ma non sempre raggiungibile attraverso gli strumenti del quotidiano; installazioni dal poderoso valore simbolico, suggestive, memorabili (come quelle realizzate negli anni per la Biennale d’Arti Visive).

Se i sogni prendono forma

Tuttavia, c’è molto di più nel lavoro di Tadei, al di là della fantasia, della resa scenografica. Ciò che le interessa, e fa emergere quella risolutezza serena, come un’invocazione, è mettere in contatto la dimensione umana con il trascendente: «Cerco di coniugare le forme della natura e l’anatomia dell’essere umano affinché diventino mistici, – spiega – cerco di creare un’anatomia mistica». Ecco che il segno di Marialuisa, dai bozzetti all’opera finita, s’innerva di fede. Una fede messa al servizio del dialogo tra l’uomo e Dio, in un moto ascendente che si fa pulsione assoluta, necessità. Perché la ricchezza dell’essere è specchio del Divino, come nelle sfaccettature dei suoi mosaici; è trasparenza geologica, attraverso un occhio che vede oltre.

Quando una mostra conserva i sogni

La radice terrestre, in senso metafisico, sale a Dio. Il lavoro di questa artista ripropone alla nostra coscienza il rapporto, spesso problematico, tra artista e credo religioso. Un rapporto talvolta negato, per pudore, per moda, per censure ideologiche. Eppure, incontrando le sculture di Marialuisa Tadei – riminese d’origine, ma profondamente cosmopolita (è stata anche allieva di Kounellis a Düsseldorf) – esposte oggi a Venezia nella mostra The Light and Color of Spirit, a cura di Luisa Turchi, ci si rende conto della risolutezza, ma anche della grande serietà del suo progetto. La sede è felice: le Corti di Hotel Aquarius a San Giacomo dell’Orio. Un luogo nato come albergo, ma anche come vetrina del talento artigianale veneziano, dagli impianti al dettaglio d’arredo. Un rifugio per la cultura lagunare, anche nei giorni bui della pandemia, quando Aquarius (sotto la guida sensibile ed intelligente del suo direttore Luca Chiais) ha iniziato, appena possibile, ad ospitare nelle sue grandi corti esterne presentazioni di volumi, mostre d’arte, eventi.

La personale

La personale di Tadei, appena inaugurata, non smentisce le aspettative. Le opere scelte contemplano l’utilizzo di materiali diversi, dal marmo (alabastro, onice bianco, Marquina, rosa del Portogallo) a fusioni d’alluminio, a vetroresina epossidica e acciaio; tutte hanno in comune, però, un forte carattere iconico. Perché l’essenza dell’icona è trascendente, ma la sua energia è presente al mondo, ne deriva. Nell’interiorità che Marialuisa crea, un assoluto spazio del sacro, la bellezza del soggetto iconico intercetta i sensi, li ammalia. Come rapisce un ricordo, un sogno d’infanzia.
Nelle forme sinuose, materne non si nasconde, tuttavia, alcuna epifania mistica. L’artista evidenzia, piuttosto, la presenza costante (e non episodica) del divino; la necessità ideale di connettere terra e cielo. È la pietra angolare, la struttura intellettuale della fede di cui scrive T.S. Eliot nei Cori da La Rocca: «Voi avete edificato bene, avete dimenticato la pietra angolare? – sostiene – Parlate delle giuste relazioni tra gli uomini, ma non delle relazioni tra gli uomini e Dio».

La cattura e i sogni

La tesi di Marialuisa Tadei assomiglia a questo monito: ci racconta de Il Seme, bocciolo di senso in alabastro rosso, che pulsa linfa nelle nervature della materia; scioglie la tenerezza di una nascita nel rosato di Lucis familia e gli abbracci nell’onice bianco di Lucis albus amplexus. Osa, negli spazi aperti delle Corti, materiali più contemporanei, colori intensi; senza mai venir meno al suo auspicio di elevazione. Sarà per questo che le sue opere non sembrano manufatti, ma essenze. Organismi viventi. In quanto icone, hanno un’indubbia proprietà taumaturgica. Quasi che, solo a sfiorarle, ci si sentisse tutti parte di un bene più grande.

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