Elogio della leggerezza

Le opere di Marialuisa Tadei si presentano con caratteri davvero originali, che cominciano a consentirle di distinguersi nel panorama dell’arte italiana. Tra questi elementi collocherei, nell’ordine, il trattamento dei materiali, il motivo della leggerezza, la relazione tra mondo fisico-naturale e mondo interiore-spirituale, il tema del sacro. Marialuisa Tadei si applica, direi, con sistematicità alla loro produzione, progettando delle serie ? potenzialmente inesauribili ? che abbandona solo quando la loro evoluzione le appare in qualche modo conclusa.

Cominciamo con la questione dei materiali. Agli esordi della sua attività, negli anni Novanta, si vede con chiarezza che l’artista ricerca effetti figurativi particolari soprattutto per mezzo del filo di ferro, talvolta combinato con piume, plastica leggera, reti metalliche. Il filo è però assai spesso il motivo di base, piegato e modulato in modo da costituire una linea ondulata, che a volte pare produrre vere e proprie immagini. Come se Tadei seguisse le tracce del famoso “omino-linea” di Osvaldo Cavandoli, attraversando però l’estetica di Joan Mirò. Ne sono una prova lavori come Pietà (1993) e Incontro d’amore (1992). Il filo può servire, inoltre, per costruire motivi iconici tradizionali, come l’onda, la capanna, la cupola, dal punto di vista figurativo; oppure il cono, la parabola, l’elisse, dal punto di vista geometrico. Gli insiemi che ne risultano sono importanti anche per il senso generale che ne deriva, che consiste nell’idea del galleggiamento e della sospensione degli oggetti nel vuoto, accresciuta dal contrasto tra bianco e nero. Insomma, scoperto un motivo fondamentale, Marialuisa Tadei ne produce molte varianti possibili, accomunate però dal medesimo significato della mobilità nell’assenza di peso.

I motivi che abbiamo prima elencato, comunque, appartengono anche alla tradizione delle arti. Si è detto di Mirò, e si potrebbe aggiungere Alexander Calder. Ma anche l’onda è un tema che comincia con Katsushika Hokusai nella pittura settecentesca e si tramanda anche nell’arte occidentale contemporanea, per arrivare fino a Mario Ceroli. Tadei riesce a darcene qui una versione secca ed essenziale ma straordinariamente efficace, proprio con la sua linea di ferro arcuato in una tensione unica e perfettamente identificabile nell’onda della risacca (La grande ciglia, 1997). L’igloo, invece, è riconducibile a Mario Merz, che viene però trattato in maniera minimalista ed essenziale (si veda lo splendido Senza Titolo del 1996).

Il senso vero e proprio delle opere di Marialuisa Tadei consiste però, come si è detto, nella ricerca della leggerezza. La riduzione all’essenziale, la rinuncia al cromatismo se non in misura appena accennata, la ricerca di linee piuttosto che di volumi sono tutti mezzi che portano a percepire le opere come “sospese” ? nello spazio, nell’aria, nel vuoto e soprattutto nel tempo. Esemplare, in questo senso, è Equilibri (1995-96): qui tutto diventa espressione di categorie profonde, quali “leggero/pesante”, “trasparente/opaco”, “sospeso/grave” e così via. La leggerezza, insomma, ci invade come idea e come programma estetico.

Attorno alla fine degli anni Novanta inizio 2000, Tadei cambia radicalmente genere, ma non il tipo di approfondimento sui materiali. Due sono gli orientamenti privilegiati. In primo luogo notiamo un manifesto riferimento all’arte concettuale, che si rivela attraverso i titoli dei lavori e il gioco paradossale sulle categorie espressive messe in gioco. Un esempio chiarissimo è dato dalla produzione di contenitori ? scatole, armadi, credenze ? nei quali sono installate “forme informi” che assomigliano a cervelli. In Bronzi in scatola (1999), ad esempio, e più ancora nel Giardino dei pensieri (entrambi del 2000), le forme bronzee sono accumulate in un classificatore più o meno grande, un po’ come hanno fatto Christian Boltanski o Damien Hirst. Ciò che più interessa all’artista, tuttavia, è proprio la natura contraddittoria di quelle “forme informi” che si diceva, che danno l’impressione della morbidezza e sono invece di metallo fuso. Concettuale, invece, è il riferimento al binomio tra “cervello” e “pensiero”, e diventa perciò fondamentale il riferimento all’idea di memoria umana. La serie, poi, si estende con variazioni del Giardino dei pensieri, o con opere come Intuizione o Il giardino bianco (entrambi del 2000), in cui i cervelli sono inseriti come se fossero piante grasse, approfondendo ulteriormente l’ambiguità del materiale.

Un secondo territorio di indagine è costituito dal fondo dell’occhio umano. Tadei riprende, stavolta con fortissimo senso cromatico, come finora non le era accaduto, l’immagine della retina. Ne ricava dei tondi dalle geometrie complesse, talora dipinti, talora realizzati su materiale plastico, perfino in mosaico. I titoli manifestano, proprio come nel caso precedente, una riflessione sulla difficile relazione tra interno ed esterno del corpo umano, e perfino sul senso sacro della vita.

I primi titoli sono a carattere più intimo ? la serie Intra me o Sguardi (entrambi del 2000). Poi, con la serie Oculus Dei (1998-2008), l’indicazione diventa rivelatrice. Ma l’approfondimento continua, perché dalle superfici piatte iniziali si passa ai volumi, e il fondo dell’occhio si trasforma in superficie di corpi celesti ? Tra luna e le sette (2001), Pianeti oculari (2002) ? e le installazioni hanno ormai il peso delle grandi sculture per esterno, con spessori stretti, ma che da una certa distanza possono apparire come vere e proprie sfere sospese e rotanti ? Incarnazione, Luna dei miei occhi (entrambi del 2002).

Va citato anche un breve periodo, attorno al 2002-2004 in cui Marialuisa Tadei si è cimentata con dei ritratti (immaginari, va da sé) ottenuti con il gesso ? la citazione obbligatoria è Jannis Kounellis ? e la cera, ma inseriti in installazioni complesse. Un caso assai brillante è quello di Meditazione (2004), con una testa di “meditatrice” collocata su un tondo giallo, alle cui spalle sta una figura volumetrica astratta blu. Ma anche Il dormiente (2004) segue il medesimo principio. Il figurativo e il plastico, ancora una volta, si combinano perfettamente.

Per concludere, occorre ricordare il fatto che ormai Marialuisa Tadei si rivolge sempre più spesso a imprese di notevoli dimensioni, inserite in ambienti assai particolari, orientandosi così verso un’arte che potremmo definire “ambientale” ? non perché contenga riferimenti ecologisti ma solo perché saggia l’inserimento del circostante nell’installazione estetica, con effetti talvolta assai interessanti. Bellissima, ad esempio, è Donna dal futuro (2007-2009), commissionata dagli Stati Uniti e collocata all’ingresso della città di Coral Springs, in Florida, nella quale la figura femminile è del tutto astratta ? eppure certamente intrisa appunto di femminilità ? e i colori sono ormai quelli sperimentati col lavoro sulla retina oculare. Anche per la 53ma Biennale di Venezia Tadei ha preparato un progetto ambizioso, La Sapienza Creatrice (2006-2009), che è una sorta di manifesto della sua poetica. Vi si riscontrano, infatti, numerose e spesse linee colorate che si intrecciano, un’ascensione e una sospensione nello spazio, resa ancora più evidente da una sfera bianca che pare “galleggiare” nello spazio. Alla medesima Biennale, tuttavia, sono dedicati invece alcuni lavori essenziali. Primo fra tutti + (2000-2001), che consiste in una croce di elementi plastici colorati e perfettamente astratti, a cui il titolo, però, conferisce tutta la sua sacralità e profondità. Profondità in senso letterale, si potrebbe dire, perché la croce stesa a terra sembra pronta per ergersi, ancora priva del corpo che la renderà emblema religioso, e si presenta come un volume fortemente aggettante. L’altra opera di peso è Passaggio alla luce (2009), che è una volta di più una silloge di motivi dell’artista: su uno piano vitreo ? superficie materiale ma anche naturale per il riferimento all’acqua ? si collocano contenitori sferici riempiti di materiali bianchi soffici, e, come sempre, sospesi nell’aria e rispecchiati dalla superficie. Un chiaro esempio della propensione dell’autrice a lavorare sull’idea di leggerezza è costituito dalla recente opera Waterfall (2009). Qui, un groviglio di strisce colorate di plastica scende a cascata dall’alto e crea una configurazione plastica al suolo. La contrapposizione “terra”/“cielo” è chiarissima, così come la fluidità della discesa del materiale verso il basso, e la contrapposizione fra “rarefatto” (le strisce discontinue) e “compatto” (il risultato, con il suo disegno quasi geografico) sulla superficie. Peraltro, uno sguardo ravvicinato ci induce ad apprezzare la solidità della figura intera, nonostante la lievità del materiale impiegato per ottenerla.

Leggerezza, trasparenza, intimità sono insomma le parole chiave per comprendere il percorso artistico di Marialuisa Tadei, tutto “astratto” nell’indagine preliminare, tutto proteso all’individuazione di contenuti profondi nel risultato finale.